Daniele Spreggiaro e Riccardo Ertolupi, 21 anni, sono due studenti di ingegneria elettronica a Padova che insieme hanno fondato i Vicenza Thunders, una giovane realtà che si occupa di progetti di elettronica e robotica.
Come è nato questo vostro interesse per la robotica?
Abbiamo cominciato ad appassionarci di robotica alle superiori, soprattutto grazie al progetto Robocup, un torneo dedicato ai robot che coinvolge gli istituti tecnici. Ci siamo presentati con due robot che giocavano a calcio. Il primo anno li abbiamo costruiti con i Lego Mindstorm, qualificandoci secondi alle gare nazionali di Catania. L’anno successivo abbiamo vinto nella stessa categoria i campionati italiani a Riva del Garda e abbiamo partecipato anche con altri due robot costruiti partendo da zero, qualificandoci ai campionati mondiali di Città del Messico, ai quali purtroppo non abbiamo potuto prendere parte per via degli esami.
Una passione che oggi è diventata un lavoro vero e proprio.
Sì, in pratica per i nostri robot utilizzavamo delle ruote omnidirezionali e per trovarle abbiamo fatto una fatica immane. Ci siamo accorti che nel mercato non esiste questo tipo di ruote fatte su misura per hobbisti e appassionati, così ci siamo detti, perché non produrle noi? Con la nascita della stampa 3D ci siamo avvicinati a questo mondo e oggi creiamo modelli plastici su misura per i clienti, in base alle specifiche che interessano.
Parliamo dei vostri progetti: sulla vostra pagina Facebook si legge che avete creato un paracadute di emergenza per droni e una nuova versione delle vostre ruote omnidirezionali.
La nuova versione delle ruote è un re-design del modello originale; più che la funzionalità è tata migliorata l’estetica, anche se stiamo pensando a una nuova versione più performante. Il progetto del paracadute, invece, è un’idea innovativa. È un sistema in grado di prevedere ogni guasto del drone ed è provvisto anche di un comando manuale.
La patria della robotica per eccellenza è il Giappone, dove inventare e costruire automi è praticamente uno sport nazionale. Com’è invece il clima qui in Italia?
Abbiamo visto molti progetti interessanti provenienti dal Giappone. Da quel che abbiamo potuto vedere, la differenza tra la robotica italiana e quella giapponese è che là hanno fiuto per le idee utili, mentre qui spesso sono un po’ campate in aria.
Al MECSPE di Parma – la fiera delle tecnologie per l’industria – è stato dedicato un intero padiglione alla robotica e agli umanoidi, macchine dai tratti umani in grado di imparare e mostrare atteggiamenti umani. Quali sono le frontiere di questo settore, che sembra non conoscere limiti?
Le capacità di processo dei robot non sono in grado di elaborare emozioni, o per esempio, di provare dolore. Penso che questo sia se non impossibile, quasi impossibile. Se si arrivasse a un simile livello, sarebbe quello il confine da non oltrepassare.
E se questo confine venisse superato? Ci aspetta un futuro stile Terminator, o Matrix?
Ne discutevo giusto l’altro giorno. Il progresso va portato avanti, ma dobbiamo anche porvi dei limiti, per non oltrepassare una linea oltre la quale la tecnologia prende il sopravvento sulla nostra volontà.
Progetti nel cassetto dei Thunders?
Ultimamente ci stiamo occupando in particolare di stampa 3D. Stiamo lavorando a un prototipo in scala di una Lamborghini Gallardo che utilizza le nostre ruote omnidirezionali, da utilizzare per le dimostrazioni alle fiere. Anche il progetto del paracadute sicuramente ci impegnerà nei mesi a venire, per migliorarne il design. Il prototipo verrà poi installato su dei droni agricoli che montano un caricatore – anche quello di nostra progettazione per la parte elettronica – che selettivamente sparge sulle coltivazioni degli ovuli contenenti uova di insetti antagonisti della piralide del mais, una malattia che affligge questo tipo di piante. Con questo progetto vorremmo lanciarci sul mercato dei droni per l’agricoltura e adesso stiamo conducendo degli studi sulle fotocamere NDVI, ossia delle fotocamere modificate togliendo il polarizzatore per la luce infrarossa e inserendo un filtro per la luce rossa. In questo modo, facendo una foto al campo sarà possibile vedere il grado di riflessione della luce infrarossa, dal quale si capisce lo stato della fotosintesi delle piante. In pratica, facendo una foto si può capire se le piante sono in buona salute oppure no. Sono tutti progetti, quelli relativi ai droni, a cui stiamo lavorando in team: noi curiamo l’elettronica, BT-Research la parte meccanica e il design dei mezzi e Antonio Vigoni quella agronomica.
(originariamente pubblicato su Vvox)