Mezzalira (Veneto Agricoltura) su problemi e virtù del settore. Ma sul futuro si dice «ottimista critico»
Inizia oggi il Festival dell’Agricoltura 2016, la rassegna diffusa con epicentro a Bressanvido – all’interno della Festa della Transumanza -, in programma fino al 2 ottobre tra Vicenza e Bassano del Grappa. «Questa seconda edizione è dedicata in particolare al tema della sostenibilità nelle sue tre accezioni: economica, sociale e ambientale», spiega Giustino Mezzalira, direttore della Sezione Ricerca e Sperimentazione di Veneto Agricoltura, partner dell’evento pensato per valorizzare il patrimonio naturale e culturale e promuovere i modelli virtuosi.
«Molte cose sul mondo dell’agricoltura veneta non si sanno, ma ci sarebbero mille storie da raccontare. In questo periodo si fa un gran parlare viticoltura e pare che non ci sia altro». Un primo dato sorprendente è invece che «in termini di fatturato la filiera più importante in Veneto è quella del legno. Parte dalle nostre foreste, passa dalle ditte boschive , le segherie, fino ai mobilifici, le aziende artigiane, edilizie e di arredamento».
Agricoltura e patrimonio arboreo non sono affatto in antitesi: «Fino agli anni ’60 – spiega Mezzalira, laureato in Scienze Forestali – la campagna veneta era divisa in “pezze” strette e lunghe interrotte da filari, le cosiddette “piantate”, alberi a cui erano fissate le viti che davano altri prodotti, dalla frutta alle foglie per i bachi da seta, e il cui legno alla fine veniva utilizzato per produrre mobili e lavorati. Era un tipico sistema agro-forestale, così come tramandato per oltre duemila anni, fin dai tempi degli Etruschi».
Questo rapporto con la natura si è spezzato con l’industrializzazione e ancor di più con la globalizzazione. «Oggi la piantagione di alberi, il vigneto specializzato e il campo di ortaggi sono separati. Il mais, la soia, la mucca da latte, il pollo e le uova ormai sono gli stessi in tutto il pianeta, quando fino a pochi decenni fa avevamo un’immensa varietà di animali e di piante». Sotto questo profilo, il Veneto non è molto diverso dal resto d’Europa e del mondo. «La cultura globale ci ha omologato tutti e vale anche per l’agricoltura».
La perdita di biodiversità è un argomento che verrà ampiamente trattato nel corso del Festival. «Alla Biblioteca La Vigna di Vicenza ci sarà una tavola rotonda su un argomento solo apparentemente banale: la mela. Dal fruttivendolo o al supermercato ormai non si trovano più di cinque varietà di mele, quando nella collezione di varietà conservate da Veneto Agricoltura ce ne sono circa mille. E quelle cinque varietà si trovano identiche a Parigi, a New York, a Tokyo».
Il secondo grande dramma è quello dell’inquinamento e dell’impoverimento dei terreni. «Come spiegava Barry Commoner, uno dei padri dell’ecologia autore dello straordinario libro “Il cerchio da chiudere”, l’umanità ha rotto il processo naturale degli ecosistemi, dove non esiste il concetto di rifiuto. Un bosco ricicla in continuazione se stesso, così una palude o un oceano. E così era anche nell’agricoltura. Tutto si riciclava e tornava al terreno, che è il vero capitale di un’azienda agricola. Tanto più è fertile e ben conservato, tanto più l’azienda è ricca».
Negli ultimi anni è entrata in atto un’inversione di tendenza e Mezzalira si dice ottimista: «è un ottimismo critico, che si basa su dati di fatto. Basta guardare i trend dell’agricoltura biologica. È in atto un’evoluzione, grazie anche al progresso dell’agronomia, che comporta importanti opportunità di lavoro». Il Veneto sconta un certo ritardo ed ha una quota di superfici destinate all’agricoltura biologica inferiore rispetto ad altre regioni, mentre un settore in cui è all’avanguardia è quello dell’agricoltura sociale: «stiamo assistendo a un fiorire di cooperative, che si occupano di persone con disabilità o difficoltà».
Tra le tante, Mezzalira cita il Cantiere della Provvidenza, in provincia di Belluno, «una delle cooperative sociali con le quali stiamo tentando di riportare in auge la bachicoltura e la coltivazione dei gelsi. Un’esperienza resa possibile dal coraggio di una ditta di Nove, D’orica, che ha avuto l’intuizione di abbinare l’oro al più prezioso dei tessuti. Una seta etica, che garantisce a tutti i lavoratori della filiera il giusto guadagno, nel rispetto dell’ambiente».
A proposito di esempi virtuosi, impossibile non citare Andrea Rigoni, amministratore delegato della Rigoni di Asiago: «un grandissimo imprenditore che ha trasformato una piccola azienda familiare in un’impresa con sedi produttive Europa e che si sta impegnando per riportare sull’Altopiano le attività agricole di un tempo». A dimostrazione che fare business in modo sostenibile si può. «Gli italiani hanno solidi legami con le proprie origini, più di ogni altro popolo. Non a caso, Slow Food non è nato negli Usa o in Cina. Ma non è nato neanche in Francia. Solo un italiano poteva concepire un’idea come quella di Carlo Petrini».
(originariamente pubblicato su Vvox)