Il giovane cuoco nel nuovo ristorante di Milano: «ho realizzato un mio sogno. Le polemiche sui prezzi? Né troppo alti né troppo bassi»
Paolo Frigo, 20 anni, vicentino docg, nonostante la giovane età è riuscito a coronare il suo sogno nel cassetto: lavorare per la star dei fornelli Carlo Cracco nel suo nuovo ristorante inaugurato in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. «Sono emozionato: riuscire ad imparare da un maestro come lui è un piacere e un onore. Sono rimasto molto sorpreso quando mi ha chiamato. Sarà sicuramente una grandissima avventura».
Dopo aver frequentato l’istituto alberghiero A. Da Schio, Paolo si è iscritto all’Alma di Colorno (Parma), l’accademia internazionale di cucina italiana fondata da Gualtiero Marchesi, iniziando giovanissimo a lavorare ad alti livelli. «Dopo aver terminato la mia esperienza al ristorante El Coq in Piazza dei Signori a novembre, ho cercato altre opportunità: mentre lavoravo alla Tana Gourmet di Alessandro Dal Degan ad Asiago e ho preso contatti con Cracco. Mi ha risposto che era impegnato con l’allestimento del ristorante e che ci saremmo sentiti più avanti. Arrivare a lavorare con lui era uno dei miei sogni. Ho sempre nutrito ammirazione nei suoi confronti», ammette il giovane chef, tanto da essere disposto a lavorare «anche a costo zero» nel suo ristorante, pur di fare esperienza. E invece, «due settimane fa, dopo l’apertura del ristorante, mi ha richiamato per invitarmi a Milano a un colloquio. Mi ha offerto un contratto e io naturalmente ho accettato subito».
Dopo l’inaugurazione, il nuovo “Cracco” è stato al centro di polemiche per i prezzi del menù, giudicati troppo alti da qualcuno. «Ho sentito qualcosa a riguardo. Per me, molte persone valutano il prezzo dimenticando o senza tenere conto di tutto quello che ci gira intorno: dietro al valore di un piatto ci sono molte cose, dal tipo di servizio al tavolo, che in molti non tengono in considerazione, fino alla qualità delle materie prime utilizzate per cucinare». In fin dei conti, si tratta di un ristorante stellato in un contesto di lusso: «chiaramente non è alla portata di tutti, ma il prezzo dei piatti proposti è giusto: non è né troppo alto né troppo basso. È facile fare ragionamenti affrettati e un commento negativo ne può scatenare altri a catena. Tutto perché qualcuno non ha speso cinque minuti a ragionare prima di scrivere». Proprio per la sua esclusività, un ristorante simile nella sua Vicenza «sarebbe difficile da aprire: il target è diverso, quello di Milano è trasversale, più giovanile. Per il tipo di clientela e di giro che ha, sarebbe più adatto a Verona, o a Venezia».
Il nuovo boss dello chef Frigo è stato per anni giudice di MasterChef e coach di Hell’s Kitchen. Ma se in tv siamo abituati a vederlo sempre altero e severo, il giovane chef assicura che nella vita di ogni giorno «non è sempre così: ci sono ambiti e ambiti. È serio, minuzioso, accurato al 100% quando si parla di lavoro, ma lontano dai fornelli non è cattivo come dicono alcuni o come lo vediamo in tv». E a chi critica l’invasione di cooking show, risponde: «a me piacciono, quando riesco a guardarli. È bello come riescono a mostrare grande pubblico come è fatta la vera vita in cucina. Molte persone ne hanno un’idea sbagliata, pensano che sia una cosa leggera, facile. Non è così. La cucina è sudore, è lavorare 18 ore al giorno, sempre di corsa. Si parte all’alba, quando arrivano le merci al mercato e finisce la sera tardi al termine del servizio, talvolta tornando nello stesso mercato per fare gli ordini del giorno dopo. Richiede molti sacrifici, ma alla fine regala un sacco di soddisfazione». La più grande «è quando un cliente a fine serata viene a farti i complimenti. Questo lavoro, più che dai soldi, è ripagato dalle persone».
Il primo amore di Paolo in cucina sono stati i dolci. «Sono partito come pasticcere: il primo anno ho lavorato alla pasticceria Elisir di Creazzo, ormai una leggenda locale per le sue paste e brioche enormi. Oggi sono un cuoco completo, ma mi è rimasta una passione sfrenata per paste e dolci». Il must è «la tarte tatin di mele calda. Poi con del gelato sopra… ciao!». Oltre ai dolci, «mi diverto molto a lavorare le carni. Un buon piatto di carne non si rifiuta mai. Sono stato a lavorare quattro mesi in Brasile e lì c’è la cultura del churrasco, lo spiedino di carne, e me ne sono innamorato. Lì la cultura alimentare è completamente diversa: usano pochissimo gli ingredienti che per noi sono basilari, come il pane o la pasta. Non usano il grano, ma la manioca e la tapioca». Tuttavia, messo di fronte alla scelta tra un ristorante etnico – magari brasiliano – e una buona trattoria locale, «la scelta non esiste: scelgo sicuramente la trattoria. La cucina di casa non si batte. Però non vuol dire che bisogna scartare tutto il resto».
(originariamente pubblicato su Vvox)