Mazzaro

“Veneto anno zero”, ultimo libro del giornalista padovano sullo scandalo Mose: «lezione inutile»


A un anno di distanza dallo scandalo Mose, il giornalista padovano Renzo Mazzaro, già autore del fortunato “I padroni del Veneto”, ripercorre il crollo di un’intera classe dirigente politica e manageriale nel suo nuovo libro “Veneto anno zero”. Uno spaccato impietoso, dove controllati e controllori sono le stesse persone, la politica, se va bene, latita, e «l’unico taglieggiato è il contribuente».

Nel libro spiega la storia e i meccanismi corruttivi del sistema Mose, finito in un maxi-patteggiamento collettivo. Lei crede che la politica e l’economia veneta abbiano imparato la lezione?
L’economia e la politica veneta hanno imparato la lezione alla perfezione. L’hanno imparata così bene che l’idea che viene fatta passare è che i ladri sono in galera e il problema è risolto. La corruzione non c’è più, le grandi opere devono andare avanti e la politica deve parlare d’altro. Dopo l’overdose di notizie ai tempi degli arresti del 4 giugno 2014, la parola d’ordine della classe dirigente veneta è stata “ha da passà ‘a nuttata”. Ovvero, tenere un basso profilo fino al termine della burrasca.

Gli imprenditori e le loro associazioni di categoria hanno reagito a sufficienza?
Non hanno reagito per niente. A differenza della Confindustria nazionale con Mafia Capitale, per il Mose Confindustria Veneto non si è nemmeno costituita parte civile. Questo perché a Roma si trattava di cooperative che lucravano sui campi nomadi, mentre in Veneto ci sono di mezzo colossi della meccanica e dell’edilizia e non è facile prendere le distanze da realtà tanto importanti.
Quello che vedo è che mentre all’inizio molti protestavano per essere stati esclusi dagli appalti, che erano riservati a un gruppo ristretto di imprese, ora c’è un silenzio generale. Evidentemente c’è la speranza di subentrare alle stesse condizioni.

Zaia si difende dicendo che lui non è stato toccato dal “fango”, la Moretti si professa vergine, Tosi invoca la presunzione d’innocenza fino al terzo grado. Come giudica il dibattito elettorale sul tema della legalità?
La corruzione e più in generale la legalità sono scomparsi dall’agenda elettorale. E il perché è evidente: tutti quanti, chi più e chi meno, sono coinvolti nel sistema spartitorio. All’interno dello scandalo Mose c’erano due epicentri: uno tecnico, il Consorzio Venezia Nuova, e uno politico, la giunta regionale di centrodestra. Però anche il centrosinistra, che stando all’opposizione avrebbe dovuto esserne fuori, nella pratica era cooptato in un consociativismo che andava avanti da tempo. Bisogna dire che da parte del Pd c’è stata una presa d’atto ben diversa rispetto all’ex Pdl: Orsoni (ex sindaco di Venezia, ndr) è stato subito espulso pur non essendo iscritto tra gli indagati, mentre Galan è ancora adesso Presidente della Commissione Cultura della Camera. Una stranezza mica da poco.
Poi c’è la Lega. Zaia e Tosi dicono che nessuno dei loro è indagato e questo è vero, ma un discorso è la responsabilità penale, un altro la responsabilità politica.

Se tutti in un modo o nell’altro erano coinvolti, Galan e gli altri arrestati sono allora i capri espiatori?
Questa è esattamente la sensazione che si ha. È quel tentativo di liquidare la pratica di cui parlavo. Però non si può accettare la versione accomodante che è stata servita: “la cricca di ladri, Galan, Baita e Mazzacurati, è in carcere, abbiamo sconfitto la corruzione”. Non è sopportabile, perché non è così. Il sistema funziona ancora con le stesse modalità. Le grande opere ricevono un sacco di finanziamenti, il decisore politico le affida ai soliti pochi e gli altri non si dissociano per il rischio di essere tagliati fuori. Siamo dentro a una corruzione sistemica, come dicono i magistrati.

Ci sono altre grandi opere che in Veneto sono nell’occhio del ciclone, come la Valdastico, o sotto osservazione della Corte dei Conti, come la Pedemontana. Come si fa a prevenire le mazzette?
Non c’è una ricetta precisa. È tutto un problema di regole. Come ha detto Massimo Cacciari a proposito del Consorzio Venezia Nuova, “se tieni la porta aperta, è chiaro che il ladro entra più facilmente”. Lo scandalo Mose nasce da una situazione completamente sregolata. Abbiamo delle leggi che favoriscono la corruzione, non possiamo meravigliarci se poi si verifica un simile delirio.

Nessuno parla più di autonomia e federalismo, a parte qualche cenno da parte degli indipendentisti, che però puntano all’indipendenza tout court. Ma la riforma del titolo V ha aiutato, anche sotto il profilo dei controlli, o si è rivelato un boomerang?
In Italia il federalismo ha prodotto più sconquassi che vantaggi. Io sarei sempre favorevole alla valorizzazione delle autonomie, ma naturalmente non nel modo in cui è avvenuto. È sotto gli occhi di tutti che abbiamo moltiplicato i centri di spesa. Non che ai tempi del centralismo non ci fossero scandali, ma il regionalismo ha fatto impazzire il sistema. A pagare il conto sono le piccole realtà locali, i comuni, che hanno meno voce in capitolo e sono quelli più tartassati.

Tirando le somme, se il Veneto è all’anno zero, da dove dovrebbe ricominciare l’ “anno uno” dei veneti?
Non è automatico che si riparta da uno, si può anche andare all’ “anno meno uno”. Bisognerebbe ripartire da due aspetti: quello delle leggi che si scrivono in parlamento, che riguarda il Paese, e quello delle associazioni di categoria, che dovrebbero interrogarsi di quanto fatto e soprattutto quanto non fatto.

(originariamente pubblicato su Vvox)

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